Chiesa di San Fermo

Chiesa di San Fermo

La chiesa di San Fermo si trova nell’omonima frazione di Belluno, situata alle porte della città, al confine con il territorio di Sedico. Sui resti di un edificio del VI secolo (frammenti di plutei murati sulla facciata) era sorta una cappella di dimensioni ridotte, ampliata nelle attuali forme a partire dal 1624. Consacrata nel 1672, sotto il rettorato di Giuseppe Zuliani (1808-1846) si arricchì di numerose opere di Andrea Brustolon, provenienti dalle chiese cittadine chiuse da Napoleone.

La Chiesa di San Fermo, uno tra i gioielli della Valbelluna, sorge su un colle che fa da spartiacque tra Sedico e Socchieva, verso il Piave. L’imponente edifico, al centro di un piccolo borgo, nel passato pulsava di forte devozione e attenzione. I fedeli, mettendo la testa all’interno della nicchia in pietra sotto l’altare laterale sinistro, si concentravano in preghiera grazie ad un sottofondo naturale: secondo una tradizione orale, il rumore che si poteva sentire da tale posizione proveniva da una vicinissima sorgente d’acqua sotterranea.
La Chiesa venne ampliata a partire dal 1624, sui resti di un precedente edificio di dimensioni ridotte risalente al VI secolo, e mostra esternamente i segni del tempo, come tamponamenti, manomissioni e aggiunte di decorazioni. Consacrata nel 1672, si arricchì di gran parte delle opere d’arte nel XIX secolo, sotto il rettorato di Giuseppe Zuliani (1808-1846), che selezionò importanti dipinti e suppellettili dai soldati napoleonici, provenienti dalle chiese che Napoleone chiuse.
A rendere famosa la Chiesa sono due plutei risalenti alla struttura iniziale, murati esternamente, di epoca paleocristiana, altari lignei seicenteschi, opere su tela di Francesco Frigimelica e importanti gruppi scultorei e stalli di Andrea Brustolon.
Si ricordano inoltre – in cornu Epistolae – un’interessante e raro esempio di Madonna vestita, detta “degli spasmi” e, a sinistra, sopra l’edicola contenente la reliquia del Santo, la statua lignea dorata rappresentante San Fermo, recentemente attribuita a Matteo Cesa (1500 ca.), un oggetto di devozione che, fino al 1996, veniva portato in processione.

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